Se le questioni legate alle denominazioni sono sempre state centrali nell’ambito degli studi linguistici, anche la denominazione di una nuova unità di ricerca in Scienze del linguaggio con un taglio interdisciplinare merita altrettanta attenzione. Al di là dei significati specifici rivestiti da ciascun elemento dell'acronimo Langage(s), HUmanités, Média-tions, Apprentissages, Interactions, Numérique (in italiano: linguaggio/i, scienze umane, media-zioni, apprendimenti, interazioni, digitale), l'insieme vale più della somma delle sue parti, nel senso delle teorie della complessità e del caos. Sebbene ognuna delle parole che compongono l'acronimo abbia una propria accezione per i ricercatori che lavorano nella nostra unità di ricerca la questione dell'Essere di linguaggio assume una dimensione fondamentale sia nel modo in cui conduciamo i nostri ragionamenti intellettuali sia nel nostro approccio epistemologico.
La nostra ambizione è quella di porre l’Essere Umano al centro della nostra ricerca, dei nostri campi di indagine e dei nostri obiettivi. Lavoriamo in una dinamica di ricerca in azione, impegnandoci nelle attività umane per meglio comprendere e far luce, ma anche sostenere o mettere in discussione, i cambiamenti in atto nelle nostre società.
LINGUAGGIO/I
Il termine "linguaggio/i" ha due significati principali, a seconda che sia singolare o plurale. Il "linguaggio" è considerato una capacità comune a tutti gli esseri umani (Saussure, 1916). Esso svolge in particolare un ruolo di substrato per consentire l'appropriazione e gli usi linguistici specifici, nonché gli usi comunicativi verbali e non verbali (Benveniste, 1966). La sua doppia articolazione come proprietà fondamentale (Martinet, 1960) lo rende una caratteristica specifica della specie umana, stando alle nostre attuali conoscenze. La prima articolazione si riferisce alle più piccole unità semantiche (morfemi), mentre la seconda si riferisce alle più piccole unità linguistiche prive di significato, cioè i fonemi. In tutte le lingue naturali del mondo i fonemi, raggruppandosi, formano delle unità significative, che formano a loro volta dei segni linguistici, degli enunciati e dei discorsi. Dare senso, quindi, è prima di tutto fare segno: in questa concezione, il significante diventa il mezzo pratico di accesso al reale (Lafont, 1978), al di là delle classiche definizioni glossematiche (Hjelmslev, 1968) o logico-pragmatiche (Strawson, 1977). Questa forma di interconnessione generalizzata si realizza attraverso le realtà che sono le sue mediazioni linguistiche, le quali sono a loro volta in grado di categorizzare il reale sedimentato dalle attività e dalle pratiche umane. Il linguaggio è quindi direttamente coinvolto nei fondamenti e nella strutturazione della cognizione, compresa la sua dimensione socialmente distribuita: ciò fa luce sulla relatività linguistica attraverso la quale le lingue e le culture percepiscono il mondo (Sapir, 1921, Whorf, 1954…).
Il plurale "linguaggi" rimanda a denotazioni comuni che non si riferiscono esclusivamente al concetto elaborato dalle Scienze del linguaggio. Il "linguaggio del corpo" o il "linguaggio musicale" nel contesto dell'espressione estetica e artistica, o i "linguaggi informatici" nel senso di codici, sono anch'essi oggetti di pensiero aperti a discipline accademiche diverse dalle Scienze del linguaggio. Questo tipo di pensiero ci invita a lavorare in maniera interdisciplinare e a mettere in discussione i codici non linguistici che permettono, nonostante tutto, agli esseri umani di comunicare e interagire socialmente tra loro.
Le Scienze del linguaggio parleranno altresì di "pratiche linguistiche in matematica" piuttosto che di "linguaggio matematico" per riferirsi al discorso socialmente situato dei parlanti. L'analisi può essere condotta solo in un determinato contesto, coinvolgendo gli interlocutori.
Un’ultima caratteristica dell’utilizzo del termine “linguaggio” è presente nel processo di insegnamento-apprendimento, e più generalmente di appropriazione. Acquisizione del linguaggio, sviluppo linguistico… Queste espressioni comuni, anche in ambito universitario, sono spesso improprie, forse legate all’ambiguità lessicale portata avanti della lingua inglese: “language acquisition”, dove “language” fa riferimento a Linguaggio (al singolare, cf. supra ), ma anche a lingua in quanto tale. Dunque, il più delle volte, quando si parla di acquisizione del linguaggio, si tratta effettivamente di appropriazione delle lingue, cioè di comprendere come un essere umano apprenda a parlare una determinata lingua. Allo stesso modo, si parla di Didattica delle lingue (e non di Didattica del linguaggio). La vera “acquisizione del linguaggio” interesserebbe, dunque, lo studio dell’apparizione del Linguaggio come capacità propria di questo strano animale che è l’Uomo. In questo caso, la riflessione dovrebbe essere condotta con filosofi e paleoantropologi, per esempio.
La comprensione del “linguaggio” è alla base della sezione CNU 7 denominata Scienze del linguaggio, che mira a descrivere e a spiegare il funzionamento del linguaggio umano in tutte le sue dimensioni, senza esclusività. Le Scienze del linguaggio studiano la descrizione delle lingue, della loro acquisizione, la loro evoluzione, il loro ruolo sociale, le loro patologie e gli strumenti di comunicazione utilizzati (si veda, ad esempio, la nozione di “digitale”). La dimensione linguistica è quindi solo un aspetto ed è compresa nelle Scienze del linguaggio.
SCIENZE UMANE
Parlare di discipline umanistiche è innanzitutto una questione che riguarda i moderni - se, parafrasando Latour (1991), lo siamo mai stati. Il movimento affonda le sue radici nella restituzione di una tradizione classica dove il discorso svolge un ruolo importante: l’umanista del Quattrocento insegna la grammatica e la retorica. Ma piuttosto che nelle discipline, è in un processo – retrospettivamente chiamato “umanesimo” nel XIX secolo – che si afferma un movimento occidentale: il Rinascimento riguarda tanto la realizzazione morale e intellettuale quanto quella religiosa, estetica o addirittura fisica. Sappiamo che questo modello di ideale umano è stato alimentato dalla lettura degli autori dell'antichità greco-latina e della tradizione letteraria araba. A partire dal XIX secolo, le Scienze Umane si concentreranno principalmente sul latino e sulla poetica, come parte di una cultura generale (un insegnante può dunque insegnare sia mitologia, che storia, retorica, geografia…). Le materie da insegnare sono state raggruppate - nonostante fossero già state criticate nel XVIII secolo - fino alla riforma scolastica degli inizi del XX secolo.
Nella scuola secondaria, fino ai giorni nostri, si studia l’esercizio e l’importanza delle parole, si sviluppano diversi approcci di interpretazione del mondo e delle società, si esaminano le relazioni fra gli esseri umani e si problematizza la soggettività, si dà un’idea del rapporto tra tradizione e cambiamento, ma anche dell’esperienza… Attraverso la trasmissione del sapere (con l’inserimento di una dimensione critica), il rapporto con i testi e i linguaggi è al centro di queste discipline scolastiche, classiche, che rivendicano anche una dimensione etica. Fino agli ultimi anni, le Scienze Umane per l’istruzione superiore sono state piuttosto legate alla rinascita delle discipline classiche (lettere e filosofia: le scienze umane nel mondo anglosassone), a volte in cerca di un riconoscimento contemporaneo. Si affermano insieme, completando e persino "fertilizzando" le cosiddette scienze "esatte" e le scienze ingegneristiche.
A causa dei successivi rimodellamenti dei campi concettuali, degli oggetti di studio, dei metodi di analisi e altre interpretazioni teoriche, la nozione contemporanea di scienze umane si applica in modo più ampio alle scienze umane e sociali (SUS) nel loro complesso o, in maniera più ampia, alle lettere, lingue, arte, scienze umane e sociali (LLASUS), preferita alla definizione ristretta tradizionale. Prima di essere associate alla rivoluzione digitale, altre discipline umanistiche sono state in grado di lasciare il proprio segno: tecniche da G. Simondon (1958/2012:248) o scientifiche (Latour 2010). In tempi più recenti, le discipline umanistiche ecologiche (D.B. Rose e L.Robin, 2019) formano un’inter-disciplina mirata a studiare le connessioni tra umano e non-umano. Riteniamo che le digital humanities siano compatibili con questi sviluppi, includendo una varietà di approcci e concezioni ma condividendo le caratteristiche di trans-disciplinarità, così come la preoccupazione di collegare la tecnologia digitale e LLASUS metodologicamente - piuttosto che come oggetto - e infine una dimensione politica attraverso l'apertura/condivisione dei dati e della produzione scientifica. Aldilà della digitalizzazione delle conoscenze (o del loro insegnamento informatico), queste sono a loro volta adatte a condurre le “digital humanties” sostenuto da Doueihi (2011). Precisamente l’urgenza di un discorso umanistico contemporaneo si basa sulla riattivazione di una “cultura dell’interpretazione” (Citton, 2010), per superare i pericoli di un’economia della conoscenza mercantilistica e utilitaristica. L’umanologia, a cui aderisce Edgar Morin in una prospettiva transdisciplinare, si propone di superare le divisioni disciplinari che possono ostacolare il pensiero olistico sulla "scienza dell'umanità", per aprire quest'ultima a nuovi sviluppi.
In ogni caso, le LLASUS sono in questo modo chiamate in causa nel loro rapporto epistemologico con le tecniche nell’era della loro conversione digitale. Che si tratti della relazione al linguaggio, ai funzionamenti affettivi e intersoggettivi, ai modi di produzione e di trasmissione delle conoscenze, della pratica della cura o ancora delle pratiche artistiche e culturali, poche attività sociali e culturali, professionali o meno, sfuggono alle analisi, alle interfacce e ad altre mediazioni di una società largamente e densamente tecnologizzata. A causa della loro stessa onnipresenza, le interazioni con macchine e strumenti sono diventate oggetti e temi di indagine, di modellamento, di analisi e di teorizzazione, se non altro attraverso i cosiddetti spazi virtuali (ma che costituiscono altrettanta realtà) a cui si aggiunge la pratica della condizione umana. In cambio, non senza un apparente paradosso, il rapporto con il vivente, l'organico e il sensibile è tanto più urgentemente richiamato come l'essenza stessa da cui hanno origine le nostre protesizzazioni e l'invenzione delle nostre macchine: l’intelligenza artificiale, per esempio, non è mai solo il prodotto della nostra naturalezza, anche se può trasformarne retroattivamente alcuni comportamenti socio-cognitivi. I ricercatori e le ricercatrici della nostra Unità di Ricerca mettono al centro del loro approccio questa riflessività epistemica cruciale.
MEDIA-ZIONI
Definire i media e spiegare il loro funzionamento nel contesto delle società contemporanee è senza dubbio una sfida importante per le scienze umane e sociali. I linguisti hanno accolto, in particolar modo nel contesto dell'analisi del discorso e della conversazione, la sfida posta dalla natura pervasiva e complessa di questi veicoli del pensiero comune e di altri endoxa. Il punto di vista sviluppato da LHUMAIN insiste sulla doppia necessità di non reificare il concetto di media (che ritroviamo sottoforma di espressioni comuni del tipo: “sono i media…”) né di farne dei veicoli neutri e trasparenti dei dati e delle pratiche socioculturali. Il primo presupposto farebbe dei media un luogo o un’istanza generica unificata che fungerebbero da prodotto, da ricettacolo dossico della produzione ideologica. A differenza di questa concezione ipercritica dei media, l’approccio oggettivista (la cui ingenuità non lo rende peraltro incompatibile con la precedente) che consiste a rappresentarli come dati di massa in sé, apre la strada a un approccio quantitativo e probabilistico i cui risultati (filtrati e “neutralizzati” in senso chimico) formerebbero il nuovo oggetto di analisi.
Di fronte a queste “evidenze” metodologiche, una posizione epistemologica alternativa può essere assunta attraverso un'antropologia discorsiva dei media. Questa permette di riconsiderare la parte linguistica nelle loro produzioni, per esempio intorno alle seguenti tematiche trasversali:
- l’opacità e la trasparenza: come circola e si produce il senso, non solo nei media (l’idea di uno spazio-contenitore da mettere in discussione!) o attraverso essi (l’idea di veicoli e vettori relativamente trasparenti), da essi (la nozione di una mediazione causale degli eventi discorsivi in questione), o addirittura secondo essi (cioè sulla base di una concezione editoriale dell'emissione dei punti di vista demiurgici), ma soprattutto in loro stessi (a partire dalle loro proprietà strutturali, organiche e tecno-genetiche: Hayles, 2012);
- la loro memoria discorsiva e la circolazione degli eventi discorsivi e di altri discorsi;
- il condizionamento delle aspettative sociali (ripensare i formati e i generi dei media) alla luce della morale pratica e della messa in discussione della fraseologia mediatica.
Tuttavia, è sempre problematico e a volte frustrante affrontare i processi di produzione (ricezione) da un punto di vista strettamente discorsivo. Questi meccanismi di diffusione della propagazione dell’informazione sono da analizzare preferenzialmente nella loro ecologia sequenziale (che li situa e dà loro senso) sulla base di semantiche interattive osservabili, nei loro corsi d'azione e, in particolare, a titolo di ciò che mobilitano in termini di alfabetizzazione. Si tratta di approcci ispirati dalla prasseologia e sulla base di documentazione/osservazione etnografica i ricercatori e le ricercatrici de LHUMAIN si impegnano a comprendere i funzionamenti discorsivi nei media.
Comprendere la mediazione come un insieme complesso di spazi interstiziali simbolici è certamente un metodo per interrogare i dispositivi mediatici nelle società contemporanee (Gallez & Renault, 2018; Rebillard, 2016). Che sia digitale, scritta e/o orale, la mediazione si esercita attraverso funzionamenti del linguaggio ordinari, intersoggettivi ed è prevista da LHUMAIN come il risultato di un’interazione sociale, di fattori sociali, di schemi interpretativi (Véron, 1987; Paveau, 2006). La mediazione è quindi dal nostro punto di vista un processo portatore di un discorso di scorta nel senso in cui apporta una dimensione prossemica all’interazione sociale. I lavori sviluppati all’interno de LHUMAIN si inseriscono soprattutto in due ambiti: salute e cultura. Roy & Hardy (2012) o ancora Durocher & Bergeron (2012) esaminano il discorso di mediazione come uno strumento che facilita la comprensione del campo lessicale iper-specializzato del discorso medico. Quéré (2007) si sofferma sugli strumenti e i metodi dei ricercatori in scienze sociali, in particolare il loro linguaggio e i loro discorsi, come dispositivi di mediazione per interpretare i fenomeni di salute, le politiche di salute e le pratiche mediche. Nel campo culturale, la mediazione è analizzata attraverso la creazione di storie culturali coinvolgenti che permettono al pubblico di essere implicato (Vignier, 2017; Bourgeon-Renault & Dacosta, 2012). La mediazione si applica anche a un eventuale conflitto da prevenire o da risolvere, nonché alla prospettiva di un legame da (ri)allacciare, soprattutto nell’insegnamento-apprendimento delle lingue dove le attività di traduzione, di interpretariato, di riassunto offrono la possibilità di riformulare. Queste attività linguistiche di mediazione sono cruciali nel funzionamento ordinario delle nostre società (Cavalli & Coste, 2019).
APPRENDIMENTI
Gli apprendimenti raggruppano diversi aspetti nell’ambito della nostra riflessione scientifica. In primo luogo, ci interessiamo agli apprendimenti dal punto di vista dei discenti, poiché ci sembra che partire dall’umano sia fondamentale per comprendere il suo funzionamento. Il soggetto e l’oggetto non possono essere separati (Morin, 1999).
Questi apprendimenti sono l’interfaccia dell’acquisizione (Vygotski, 1934) e dell’appropriazione (Véronique, 1994). Infatti, l’interesse è di dare un’idea dei contesti informali (che i ricercatori, spesso psicolinguisti, chiamano familiari) e le situazioni di apprendimento scolastico. Tuttavia, nella nostra unità di ricerca, il fatto di aver scelto il termine apprendimenti al plurale evidenzia il collegamento tra questi due contesti, molto spesso opposti e trattati dai ricercatori in diversi ambiti (didattici per gli apprendimenti e acquisizionali per gli altri). In fin dei conti, sono i processi di appropriazione che ci interessano, indipendentemente dai loro luoghi di apparizione.
La complessità dei processi di apprendimento ci invita a riflettere sulla concettualizzazione di una dimensione interdisciplinare per porci domande a cui cercare di rispondere. Apprendere una lingua, da questo punto di vista, implica focalizzazioni psico-socio-affettive-cognitive, nonché didattiche e pedagogiche. Ecco perché è auspicabile che lo sviluppo della parola nei bambini o negli adulti in lingua 1 o N+1, nella sua diversità, sia studiato in un contesto ecologico, privilegiando analisi qualitative, interazionali sia in ambito formale (scolastico), informale (familiare), sia non-formale (associazioni). Inoltre, esistono strumenti informatici e matematici con l’obiettivo di comprendere le dinamiche (non lineari) di appropriazione delle lingue. Questi approcci metodologici, spesso opposti, hanno interesse a essere collegati (studi qualitativi e quantitativi). Quindi, le dinamiche di apprendimento non riguardano una sola lingua, ma più lingue, e generalmente nel corso di tutta l’esistenza dei locutori, per esempio mostrando i trasferimenti tra le lingue, a livello fonologico, lessicale, morfologico, socioculturale dei discenti nel contesto della L1 o della L2, L3, ecc.
In secondo luogo, gli apprendimenti sono considerati dal punto di vista di colui che co-costruisce (Bronckart, 2009) i saperi e le conoscenze, in situazione formale (insegnante) o informale (altri), e attraverso diversi media (situazione di insegnamento-apprendimento istituzionalizzato o no, digitale, mediatico, ecc.). Nel corso del XX secolo, la didattica delle lingue straniere è cambiata ed è a causa di queste evoluzioni che oggi bisogna interrogarsi sui nostri rapporti con il sapere e la conoscenza, nonché con i loro modi di trasmissione. Per esempio, oggi sappiamo che le competenze all’orale non sono meno importanti di quelle allo scritto e che è principalmente a causa di una Storia delle rappresentazioni sociali (Jodelet, 2003), da diversi secoli, a proposito del francese (Cerquiligni, 2003) allo scritto e all’orale, che esiste, ancora oggi, un’asimmetria che si traduce, per esempio, attraverso il loro insegnamento. Ci si interroga peraltro poco sulla relazione esistente tra questi due poli (Chiss, 2018).
In terzo luogo, in alcuni dei nostri studi, gli apprendimenti sono concepiti per dei pubblici detti vulnerabili (migranti, detenuti) a partire dal concetto di vulnerabilità visto come intrinseco e/o relazionale per mancanza di accesso alle risorse, per disparità sociali, economiche, culturali o linguistiche. La vulnerabilità è quindi considerata come uno stato che rende gli individui più suscettibili di subire pregiudizi o difficoltà, in particolare nel contesto della formazione dove le competenze e le risorse (anche digitali) giocano un ruolo centrale nella partecipazione sociale e professionale (Armstrong, 2017). Del resto, gli apprendimenti sono alimentati da esperienze umane e tecnologizzate cruciali da studiare che contribuiscono all’apprendimento, dovendo gli interessi dei discenti essere sempre al centro delle scelte pedagogiche.
Più in generale, sviluppiamo una riflessione globale sulla natura di quello che sono gli apprendimenti provando a coglierne la complessità e, come dovrebbe essere, provando a costruire un pensiero metodico (Morin, 2008, per una sintesi) all’altezza di questa complessità. In questo senso, i nostri lavori in acquisizione e didattica delle lingue hanno come fine quello di coprire il più possibile la vastità di questo campo di studio per rispondere a problematiche concrete sollevate dai campi dell’educazione formale, informale e non formale.
INTERAZIONI
L’Analisi di Discorso (Maingueneau, 1980; 1991; 2014; Charaudeau & Maingueneau, 2002, tra gli altri), l’Analisi della Conversazione e la Linguistica Interazionale nascono in momenti di effervescenza intellettuale, di estensione e infine di messa in discussione dei campi di ricerca storica, come la linguistica, l’antropologia, la sociologia, la psicologia sociale, ecc. (nella letteratura francofona, Kerbrat-Orecchioni, 1990; Vion, 1993, tra gli altri). Questi tre ambiti sono diversi e costitutivamente interdisciplinari. Fin dalla loro nascita, dialogano con numerosi campi scientifici e trattano dati rilevanti di attività umane molto diversificate. In questo senso, essi formano campi autonomi in ambienti scientifici fortemente caratterizzati dalla loro storia e appartenenza intellettuale, linguistica e geografica.
Una parte delle ricerche sull’interazione portate avanti dai membri dell’unità di ricerca LHUMAIN ha luogo più in particolare nell’ambito dell’Analisi della Conversazione (AC), (Sacks, Schegloff & Jefferson, 1974) e della Linguistica Interazionale (LI, Couper-Kuhlen & Selting, 2001; Fox & alii, 2013). Questo doppio orientamento si basa sugli approcci sociologici di Garfinkel e di Goffman, in Antropologia Linguistica (Duranti, 1977), in Etnografia della Comunicazione (Hymes & Gumperz, 1972), ma anche in dialettologia (di Fornel & Léon, 2000). Per una rappresentazione succinta di questo quadro analitico e teorico si possono ricordare prima di tutto le forme di organizzazione del turno di parola e delle sequenze messe in evidenza dai fondatori dell’AC, nonché uno degli sviluppi più recenti e che marca l’approfondimento della comprensione della relazione tra turno e azione. Infine, possiamo delineare i percorsi di ricerca attuali e futuri, i più potenzialmente produttivi, dal nostro punto di vista.
Lo scambio di parola (Talk-in-Interaction) tra due (o più) individui è considerato come la forma di base di tutta la vita sociale. Gli elementi che costituiscono la “nicchia organizzativa immediata” (Schegloff, 1996:2) sono da un lato le Unità di Costruzione del Turno (UCT) che possono, da sole o in gruppo, in modo ricorsivo, costituire un turno di parola. Così come i semplici ma potenti principi (Sacks, Schegloff & Jefferson, 1974) che permettono l’alternanza dei locutori (selezione, auto-selezione e continuazione). Dall’altro lato, le configurazioni sequenziali, da cui si sviluppano relazioni forti e locali (come la Coppia Adiacente: Invito/Accettazione) o con una portata più ampia, in particolare per quanto riguarda le Sequenze Inserite (Richiesta d’aiuto/Aiuto), fra i turni, in un insieme di diritti e obblighi che dovrebbe essere soddisfatto, anche successivamente nell’interazione, in virtù della Pertinenza Condizionale (Sacks & Schegloff, 1979).
Questo lavoro sulla “scena primordiale della socialità” (Schegloff, 1995) è basato essenzialmente sui legami tra gli elementi del turno di parola e le azioni prodotte da quest’ultimo. In questo senso, Héritage (2011:212) definisce “una “pratica” come ogni caratteristica della concezione di un turno in una sequenza che (i) ha un carattere distintivo, (ii) che ha una posizione specifica in un turno o una sequenza, e (iii) che si distingue per le sue conseguenze sulla natura o sul senso dell’azione che il turno mette in atto”. Questa definizione è sostenuta dall’apporto di Robinson (2007:68) che distingue una pratica e una pratica d’azione, in cui la prima serve a formare la seconda. Robinson parla anche di configurazione di pratiche orchestrate dai partecipanti (scelta lessicale, di intonazione, posizione sequenziale, ecc.): “i partecipanti sono interessati al prodotto di questa orchestrazione in termini di azione, mentre gli analisti sono più interessati alle pratiche utilizzate per costruire le azioni.” (idem).
Le ricerche attualmente sviluppate sull’interazione nello studio delle attività e delle ecologie multiple contribuiscono alla nascita:
- di pratiche d’azione (supra) per ampliare il campo dei temi di ricerca o per riconsiderare in modo interdisciplinare temi già studiati;
- di “… il discorso come prodotto in divenire, in cui un insieme di risorse emerge in un evento semiotico sociale e linguistico per realizzare obiettivi o compiti all'interno di tale evento” (Couper-Kuhlen & Selting, 2001:3);
- dell’azione in corso in un paesaggio semiotico immediatamente presente che non solo offre risorse di diversi tipo di partecipanti, ma che è anche l’oggetto di elaborazione e trasformazione nell’orientamento prospettivo e retrospettivo dell’interazione in corso (Goodwin, 2013);
- delle unità analitiche dell’interazione (UCT e sequenze) per partecipare ai dibattiti in corso sulla quantificazione (Schegloff, 1993; Robinson, 2007; Stivers, 2015), sulla digitalizzazione dell’interazione e sugli Agenti Intelligenti, sull’aiuto alle decisioni per l’Intelligenza Artificiale.
- le diverse dimensioni dell’esperienza (dal 2D al 3D, visuali e sonore) nella ripresa televisiva (Broth, 2008) e negli ambienti immersivi (McIlvenny, 2020).
DIGITALE
Le Scienze del linguaggio, soprattutto nel campo dell’analisi del discorso, dell’approccio Testo, Discorso, Tema o ancora della linguistica interazionale, partecipano alla costruzione di un’episteme del digitale. Questa posizione decisamente interdisciplinare ricorda la necessità di aggiornare le forme di conoscenza e di rappresentazione, di cogliere le traiettorie discorsive per comprendere meglio il processo di produzione e ricezione e, in ultima analisi, di partecipare alla creazione e al rinnovamento del sapere.
Il digitale gioca un doppio ruolo, da un lato nell’utilizzo delle tecnologie informatiche per conservare, trattare e comunicare informazioni sottoforma di dati digitali e dall’altro lato nella sua associazione con le tecnologie di informazione e comunicazione che comprendono computer, smartphone, tablet, applicazioni, software, reti di comunicazione, servizi online, ecc.
I lavori intrapresi dall'Unità di Ricerca LHUMAIN non possono limitarsi a concepire il mondo digitale come una nuova agorà antropo-tecnologica (de)centrata, il cui funzionamento sarebbe ampiamente spiegato da processi quantitativi e automatici di analisi del linguaggio. Essi insistono sull’idea di non concretizzare la nozione di digitale (ricorrendo sistematicamente allo strumento e alla codifica) e di riconoscere in quanto ricercatore qual è la posta in gioco nell'indagare questo campo e nell'impegnarsi in un lavoro astratto. I progetti di ricerca de LHUMAIN si basano su una problematica comune del digitale come entità che “fa esistere”, online o offline, con o senza dispositivo digitale, faccia a faccia o no, in presenza e a distanza; l’analisi di questi fenomeni tecno-linguistici rinnova quindi lo stretto rapporto che lega l’essere umano con la tecnica. I dati trattati sono principalmente audio-visuali e/o prodotti digitalmente, come forum, chatbot, videoconferenze. Ecco perché privilegiamo una linguistica interazionale applicata al digitale inteso come parte di un ambiente costruito nella sua specificità tecnologicamente mediato. Una visione critica e distanziata non è sufficiente: l’oggetto di analisi ha bisogno di una ricerca che, lungi dall'affrancarsi dalla considerazione del pregiudizio o del paradosso dell'osservante, le consideri come fenomeni di cambiamento, di aggiustamenti intersoggettivi.
Quindi, l’Unità di Ricerca LHUMAIN rientra nelle correnti di scienze umane e sociali che interrogano e sostengono l’esame delle diverse e complesse relazioni che gli umani stringono con i non-umani e questo attraverso studi condotti nel campo delle umanità e delle culture digitali o ancora della letteratura digitale (digital literacy)[1].
Il lavoro di problematizzazione delle diverse nozioni che compongono l’acronimo LHUMAIN, intese in termini di interrelazione fra loro, cerca di prendere parte alla discussione a proposito delle questioni sociali urgenti del nostro tempo.
[1] “Definizione proposta dal sito “inclusion-numérique.fr”: “La littératie web englobe « les aptitudes et les compétences requises pour lire, écrire et participer au web.”
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